I miti sull’ADHD

Le opinioni di un gruppetto di dottori non esperti che affermano che l’ADHD non esiste sono poste a confronto con le consolidate opinioni scientifiche che affermano il contrario, come se entrambe le opinioni potessero godere eguali meriti.

Tali tentativi alla fine danno all’opinione pubblica la sensazione che vi sia un sostanziale disaccordo scientifico sul fatto che l’ADHD sia un disturbo reale. Infatti, non esiste affatto tale disaccordo almeno non più di quanto ve ne sia sul fatto che il fumo possa causare il cancro o che il virus dell’HIV causi l’AIDS“.
Prof. Russell A. Barkley

Ascoltando la TV e leggendo i rotocalchi, sembra talvolta che sul problema ADHD e le sue terapie ci siano due “scuole di pensiero”, mentre nella realtà esistono da una parte ricercatori e clinici che studiano e conoscono a fondo il problema e dall’altra persone e medici che su falsi pregiudizi e mancanza di conoscenza e studio delle verità scientifiche cuciono idee personali attorno a pregiudizi e miti, creando grande confusione.
E’ per questo motivo che nasce questa pagina del sito.

L’impegno dell’AIFA Onlus contro i pregiudizi e le false ideologie…

Talvolta il disturbo ADHD viene presentato ideologicamente, affrontando così in modo assolutamente errato e fuorviante il delicatissimo tema del Disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività creando confusione nei genitori e negli addetti ai lavoro. Come Associazione Nazionale di Famiglie che quotidianamente combatte gli enormi problemi indotti nella vita dei loro figli da questo disturbo neurobiologico, non possiamo fare a meno di denunciare i luoghi comuni buonisti, i miti, i pregiudizi e le gravi inesattezze a livello scientifico e sociale che talvolta si ascoltano e che recano grave danno non solo alla verità scientifica ma soprattutto ai bambini e ragazzi ADHD e alle loro famiglie, sia sul piano morale sia su quello più propriamente medico-sanitario.

L’ADHD non è la semplice vivacità…

L’ADHD con il suo variegato quadro di disturbi associati non è la semplice vivacità o la distrazione peraltro tipica nei bambini ma un vero e proprio disturbo che impedisce a chi ne è affetto di selezionare gli stimoli ambientali, di pianificare le proprie azioni e controllare i propri impulsi.

Possiamo testimoniare come genitori che…

Noi genitori, proprio attraverso una strada irta di difficoltà e sofferenze quotidiane, possiamo testimoniare che davvero questo disturbo mette in crisi le nostre famiglie, noi genitori, la scuola, la società , ma soprattutto lascia soffrire e relega in un mondo di emarginazione i nostri figli.
L’ADHD ha un enorme impatto sociale: drammi familiari in primo luogo per diagnosi non fatte in passato, terapie inefficaci e psicoterapie inutili protrattesi per anni, denunce penali e civili rivolte ai genitori a causa di gravi comportamenti dei figli nell’ambito sociale, adulti con tale disturbo non trattato nel loro passato che convivono spesso con situazioni psichiatriche talvolta gravi, peggioramento negli adolescenti dei sintomi dell’ADHD con l’aggiungersi nel tempo di disturbi di condotta, depressivi o ansiosi, matrimoni falliti a causa dello stress generato dal disturbo, gravi conseguenze indotte nei fratelli e tanto altro ancora costituiscono le testimonianze che ascoltiamo quotidianamente da quando è sorta la nostra associazione.

Gli obiettivi che ci proponiamo con questa pagina…

  • Le falsità di certe affermazioni e la gravità delle azioni promosse da varie campagne pongono la nostra Associazione nella necessità di:
    precisare in cosa consista realmente il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività
  • affermare, in accordo con tutta la letteratura scientifica mondiale pluridecennale, che si tratta di un disturbo reale
  • dimostrare in modo puntuale e scientifico la falsità di certe affermazioni, smascherando i “miti” e i pregiudizi propagandati sul disturbo.

Due parole sull’ADHD

Il Disturbo da deficit d’attenzione ed iperattività (ADHD) è uno dei disturbi neuropsichiatrici più frequenti ad esordio in età evolutiva, caratterizzato da inattenzione, impulsività e iperattività motoria che compromette numerose tappe dello sviluppo e dell’integrazione sociale dei bambini. Si tratta di un disturbo eterogeneo e complesso, multifattoriale che nel 70-80% dei casi coesiste con un altro o altri disturbi (fenomeno definito comorbilità), fattore che aggrava la sintomatologia rendendo complessa sia la diagnosi sia la terapia. Quelli più frequentemente associati sono il disturbo oppositivo-provocatorio e i disturbi della condotta, i disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disgrafia, etc.), i disturbi d’ansia e, con minore frequenza, la depressione, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo da tic, il disturbo bipolare.

Un disturbo neurobiologico

L’ADHD è un disturbo neurobiologico cronico con la massima prevalenza in età scolare ma che tende a persistere anche in adolescenza e in età adulta nel 50-60% dei casi.
Attraverso tecniche di neuroimmagine (Risonanza Magnetica funzionale e Tomografia ad emissione di positroni) e studi di genetica molecolare si è potuto evidenziare che l’ADHD è realmente un disturbo di origine biologica della corteccia pre-frontale e dei nuclei della base che comporta un’alterazione nell’elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali e della capacità di concentrazione.

Fattori all’origine del disturbo

Gli ultimi quarant’anni di ricerche di questo disturbo hanno portato alla considerazione e allo studio di numerosi fattori alla sua origine (si tratta infatti di un disturbo multifattoriale) e fra questi fattori genetici (trattandosi di disturbo poligenico con un fattore di ereditabilità superiore al 75%, molti sono i geni-candidati oggetto di studi del sistema di neurotrasmissione della dopamina e della noradrenalina cui sono associate importanti funzioni di inibizione e modulazione cerebrale), fattori morfologici cerebrali (corteccia frontale, nucleo caudato e globo pallido sono più piccoli nei bambini ADHD), fattori prenatali e perinatali, fattori traumatici. In questo variegato complesso di cause c’è pur sempre da considerare che l’attivazione della predisposizione al disturbo è verosimilmente modulata anche da fattori ambientali (famiglia, educazione, contesti sociali, etc.).

La prevalenza

In Italia sono stati condotti studi epidemiologici su piccoli numeri che non hanno consentito di stimare con precisione la prevalenza del disturbo nel nostro Paese, ma in tutti quei Paesi dove esso è stato accuratamente studiato negli ultimi due decenni, la prevalenza dell’ADHD si è sempre attestata tra il 3 e il 5% della popolazione in età scolare, con una stima dell’1-2% per le forme particolarmente gravi.

La diagnosi

La diagnosi di ADHD è allo stato attuale esclusivamente di tipo “clinico” e si basa sulla classificazione del Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-IV) attraverso una valutazione accurata del bambino condotta da specialisti con specifiche competenze relative alla diagnosi e terapia dell’ADHD e degli altri disturbi spesso presenti in comorbilità o in diagnosi differenziale. La valutazione è oltremodo complessa perché deve coinvolgere oltre che il bambino anche i suoi genitori e gli insegnanti al fine di raccogliere informazioni sul comportamento e la compromissione funzionale del bambino da fonti multiple e in relazione a più contesti. In tale analisi è compresa anche la valutazione dei fattori culturali e dell’ambiente di vita in cui è inserito il bambino che si avvale di strumenti quali i questionari e le interviste diagnostiche semistrutturate opportunamente standardizzati e validati.

La bibliografia

La bibliografia sull’ADHD è sterminata trattandosi del disturbo psichiatrico dell’età evolutiva più studiato da oltre un secolo e il campo degli studi e delle ricerche a livello mondiale riguarda tutti gli aspetti del disturbo (valutazione e diagnosi, classificazioni , aspetti e decorsi del disturbo nella vita adulta, studi epidemiologici, quadri di comorbilità, etiologia, patofisiologia, neurobiologia) e gli interventi di trattamento (psicoeducativi, psicosociali, terapia comportamentale, di miglioramento della competenza sociale, interventi farmacologici con psicostimolanti e alternative farmacologiche agli psicostimolanti), con oltre 7000 studi pubblicati sulle più autorevoli riviste scientifiche internazionali.

Dubbi?

Nonostante questa straordinaria massa di studi e di ricerca clinica, di un consolidato (ma pur sempre perfettibile) protocollo diagnostico multidisciplinare e terapeutico multimodale, c’è chi avanza dubbi sulla realtà scientifica di questo disturbo.
Ebbene è necessario sottolineare, con la massima forza possibile, come tale posizione, caratterizzata da affermazioni gratuite che non fanno riferimento a studi o approcci scientifici, sia nella realtà gravida di conseguenze molto dannose. Fra queste, la negazione di un adeguato trattamento a coloro che ne avrebbero bisogno e quella di fuorviare pericolosamente i non addetti ai lavori come genitori ed insegnanti.

Autorevoli documenti

Per tale motivo in questi ultimi due anni (2002-2003) sono stati emanati alcuni documenti molto chiari e autorevoli su questo argomento anche perché tali dubbi, amplificati dai mass-media, danno l’immagine di una comunità scientifica divisa su tale aspetto, mentre molto più semplicemente va considerato che da un lato esistono i veri studiosi e i clinici che studiano ed affrontano la sfida dell’ADHD nella sua effettiva realtà e con il metodo e il rigore scientifico e dall’altro “addetti ai lavori improvvisati” che ritengono di poter approcciare il problema e la realtà clinica senza una specifica preparazione scientifica e un adeguato background culturale, senza una pratica clinica e attraverso l’interpretazione di vecchie teorie o cattiva interpretazione delle stesse o addirittura in termini puramente ideologici.

Questa situazione è ben descritta nell’ International Consensus Statement on ADHD del gennaio 2002 (pubblicato su Clinical Child and Family Psycology Review, vol.5, no.2 Giugno 2002) in cui uno dei più insigni studiosi, il Prof. Russel Barkley sottoscrittore dello stesso documento insieme con altri 85 prestigiosi studiosi dell’ADHD a livello mondiale afferma: “Le opinioni di un gruppetto di dottori non esperti che affermano che l’ADHD non esiste sono poste a confronto con le consolidate opinioni scientifiche che affermano il contrario, come se entrambe le opinioni potessero godere eguali meriti. Tali tentativi alla fine danno all’opinione pubblica la sensazione che vi sia un sostanziale disaccordo scientifico sul fatto che l’ADHD sia un disturbo reale. Infatti, non esiste affatto tale disaccordo almeno non più di quanto ve ne sia sul fatto che il fumo possa causare il cancro o che il virus dell’HIV causi l’AIDS”.

Anche la Commissione dei ministri del Consiglio d’Europa nel marzo 2003 ha ritenuto necessario affrontare questo argomento facendo propri gli studi, le ricerche e le conoscenze scientifiche a livello mondiale nell’ambito della diagnosi e del trattamento multimodale dell’ADHD, così come presentate dalla letteratura scientifica mondiale, anche sulla base delle valutazioni del Gruppo Pompidou che l’8 e 9 dicembre 1999 organizzò un Convegno a Strasburgo al quale intervennero 15 specialisti provenienti dalle nazioni europee, dagli Stati Uniti e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nello stesso documento la Commissione dei Ministri sottolinea come una precedente Raccomandazione dell’Assemblea, in contrasto con la maggior parte della comunità scientifica, avesse presentato delle tesi affini a quelle propagandate dalla “Chiesa di Scientology” che “non reggono ad un serio esame scientifico”. Il documento prosegue affermando che: “Queste idee non sono solamente senza alcuna base scientifica ma, se attuate, porrebbero seri rischi alla salute dei bambini in questione, negando loro un adeguato trattamento”. E ancora: “La principale di queste idee minimizza e addirittura mette in dubbio la classificazione del disturbo da deficit d’attenzione/iperattività ed il disturbo ipercinetico (ADHD/HKD) tra i disturbi reali. Eppure un impressionante consenso medico sostiene che, pur con tutte le difficoltà diagnostiche, questi disturbi non soltanto esistono ma rappresentano un handicap serio che può permanere nel corso della vita e richiedono una valutazione multidisciplinare ed un trattamento multimodale che comprende quello farmacologico”.

Anche la Conferenza Nazionale di Consenso sull’ADHD (Cagliari 6-7 marzo 2003) cui hanno partecipato tutte le principali società scientifiche italiane che si occupano di bambini e le associazioni interessate al disturbo, nel suo documento finale esprime una serie di affermazioni tutte perfettamente in linea con lo “stato dell’arte” presente nella letteratura scientifica mondiale e con i protocolli di diagnosi e terapia più avanzati nel trattamento di questo disturbo.
Alcuni, invece, vogliono promuovere in tutti i modi il disconoscimento scientifico del disturbo con lo scopo principale di presentare in modo scandalistico la terapia farmacologica che in realtà rappresenta, nei casi più gravi, uno degli approcci della cosiddetta “terapia multimodale”. Infatti, gli psicostimolanti, nei casi sintomatologicamente più gravi, sono necessari e rappresentano un’importante e decisiva risorsa terapeutica, come viene rimarcato da tutta la letteratura scientifica mondiale di questi ultimi quarant’anni e lapidariamente affermato dal Prof. Barkley in un articolo su Psychiatric Times del 1996: “The stimulant medications have demonstrated their efficacy in several hundred well-controlled scientific studies, making them not only one of the few success stories in child psychiatry of this century but the best – studied of any psychiatric (and other) medication prescribed for children” (“I farmaci stimolanti hanno dimostrato la loro efficacia in svariate centinaia di studi scientifici in doppio cieco, rendendoli non solo uno dei pochi successi nella storia della psichiatria infantile di questo secolo ma i farmaci meglio studiati di qualunque altro farmaco prescritto per i bambini”).

Le Linee Guida per la diagnosi e la terapia farmacologica del Disturbo da Deficit attentivo con Iperattività in età evolutiva, approvate all’unanimità dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) il 24/6/2002, affermano che “… la terapia farmacologica, quando accurata e rigorosa, costituisce la risorsa più efficace e potente per aiutare i bambini con ADHD. Ne consegue che tale terapia dovrebbe essere disponibile per tutti i bambini con ADHD nei quali l’intervento psicoeducativo risulti solo parzialmente efficace”.

I farmaci solo uno degli strumenti terapeutici

L’AIFA Onlus ha costantemente sostenuto l’idea che, come per tutti i farmaci, anche per gli psicostimolanti possa sorgere il problema dell’abuso ma noi, come genitori che dopo anni di terapie rivelatesi inutili in molti casi abbiamo visto “rinascere” i nostri figli proprio grazie al trattamento farmacologico, non possiamo permettere che questo “strumento” non possa venire utilizzato nei casi necessari solamente per il paventato timore di possibili abusi. E’ fin troppo evidente che questo “strumento” terapeutico sia approfonditamente conosciuto per conseguire un corretto utilizzo da parte di chi ha la responsabilità di prescriverlo ed utilizzarlo. Il farmaco è un mezzo. Il problema sta nel corretto, saggio e responsabile uso del mezzo, non nel mezzo. Su questa linea si è recentemente  pronunciato (25/5/2004) il Sottosegretario alla Salute Antonio Guidi, che in Commissione Affari Sociali della Camera, proprio in relazione alla prevista reintroduzione del metilfenidato, ha affermato che “non è l’esistenza di un farmaco di per sé pericolosa, ma l’uso che se ne fa”.

Miti e realtà sul disturbo

Mito. L’ADHD è un disturbo fittizio perché diagnosticato sulla base di sintomi e non sulla base di esami diagnostici di tipo clinico.

Realtà:  Tutti i disturbi neuropsichiatrici sono diagnosticati sulla base di sintomi e per nessuno di essi ad oggi è disponibile una specifica indagine clinica in grado di rilevarlo. Non esiste un’indagine clinica definitiva per diagnosticare la schizofrenia, l’autismo, la depressione o il disturbo bipolare, ma non per questo è possibile negarne l’esistenza. V’è da rilevare, invece, che già da molti anni i progressi delle tecniche di Neuroimmagine (Risonanza Magnetica Funzionale-fMRI e Tomografia a Emissione di Positroni-PET) hanno permesso di evidenziare nei bambini con ADHD una diminuzione di flusso ematico e/o consumo di ossigeno nei nuclei della base e della corteccia prefrontale, proprio quelle aree cerebrali che regolano l’attenzione, la programmazione del comportamento, la coordinazione motoria e lo sviluppo e il senso del tempo. Queste strutture cerebrali ed il cervelletto nei bambini con ADHD risultano anche morfologicamente più piccole (fino al 6%) rispetto ai bambini del gruppo di riferimento “normale”.


Mito. L’ADHD è un disturbo moderno nato agli inizi degli anni ’80 quando alcuni psichiatri affermarono l’esistenza di una nuova malattia mentale dell’infanzia.

Realtà: E’ noto che la descrizione del disturbo attualmente classificato come ADHD risale ai primi anni del ‘900 con George Still e che risale agli anni 1950-1960 l’individuazione della categoria diagnostica del Minimal Brain Dysfunction (MBD), con successivi frequenti cambiamenti nelle definizioni fino a quello attuale del DSM IV di ADHD. Il disturbo è riconosciuto come una reale disabilità da ormai tutte le principali Associazioni mondiali mediche, psichiatriche, psicologiche ed educative.


Mito. L’ADHD è un disturbo che regredisce fino a scomparire con la crescita del bambino.


Realtà: L’ADHD non è diagnosticato solamente nei bambini. Dai molti studi di follow-up condotti nei decenni scorsi è oramai dimostrato che oltre il 70% dei ragazzi continuerà a manifestare il disturbo nell’adolescenza e circa la metà nell’età adulta. Se il disturbo non viene trattato, i soggetti tenderanno a sviluppare nell’arco della vita problemi secondari come depressione, ansia, abuso di sostanze, fallimenti esistenziali nella vita lavorativa e familiare, condotta antisociale. Se viceversa il disturbo viene trattato, la maggior parte delle persone che ne sono affette potrà avere una buona vita affettiva e produttiva gestendo abbastanza bene i sintomi del disturbo.


Mito. L’ADHD è un disturbo di natura ambientale dovuto ad una scadente capacità educativa dei genitori e a mancanza di disciplina.

Realtà: E’ ancora diffusa l’idea anacronistica che il cattivo comportamento di un bambino possa essere ricollegato ad un problema morale, quello appunto del bambino “cattivo”. E’ stato dimostrato inequivocabilmente che operare con maggiore disciplina senza alcun altro intervento peggiora anziché migliorare il comportamento dei bambini con ADHD. In realtà l’ADHD è un disturbo che impedisce a chi ne è affetto di selezionare gli stimoli, di pianificare le azioni e controllare gli impulsi. Tutto ciò perché è un disturbo neurobiologico cronico con numerosi fattori alla sua origine e fra questi fattori genetici( disturbo genetico con un fattore di ereditabilità superiore al 75%) fattori morfologici cerebrali, fattori prenatali e perinatali, fattori traumatici. Tali fattori però non escludono la circostanza che l’attivazione della predisposizione del disturbo sia modulata da fattori “ambientali” (famiglia, educazione , contesti sociali, etc.) che però non ne sono la causa. 


Mito. L’ADHD è causato da troppo zucchero, conservanti ed altri additivi artificiali presenti nel cibo ed eliminare tali sostanze dalla dieta può curare il disturbo.

Realtà: Gli studi hanno mostrato che pochissimi bambini hanno tratto qualche giovamento da diete speciali. Lo zucchero e gli additivi sono stati esclusi dalle cause dell’ADHD da dozzine di studi effettuati in “doppio cieco”( si definisce in doppio cieco una prova clinica in cui né i soggetti che vi partecipano , né lo staff che conduce lo studio conosce quali partecipanti stanno ricevendo il farmaco o l’oggetto di sperimentazione e quali un placebo). 


Mito. Per un effetto “paradosso” contrario a quanto ci si aspetterebbe, in virtù del particolare metabolismo dei bimbi questi farmaci intontiscono i bambini e li tengono calmi.

Realtà: E’ un’affermazione assolutamente falsa perché l’effetto “paradosso” si verifica soltanto sui bambini affetti dal disturbo per il tipico meccanismo del farmaco che migliora l’attenzione riducendo l’iperattività attraverso la modulazione della quantità di dopamina e noradrenalina nello spazio intersinaptico. 


Miti e realtà sul trattamento farmacologico

Mito. Per un effetto “paradosso” contrario a quanto ci si aspetterebbe, gli stimolanti intontiscono i bambini e li tengono calmi.

Realtà: L’effetto “paradosso” si verifica soltanto sui bambini affetti dal disturbo per il tipico meccanismo del farmaco che migliora l’attenzione riducendo l’iperattività attraverso la modulazione della quantità di dopamina e noradrenalina nello spazio intersinaptico.


Mito. Gli stimolanti possono portare in seguito al trattamento prolungato ad una dipendenza, come avviene con le sostanze stupefacenti.

Realtà: Proprio perché gli stimolanti riescono a favorire la concentrazione e di conseguenza permettono buoni risultati scolastici migliorando le relazioni nella vita sociale, consentono una crescita abbastanza tranquilla e serena, evitando esperienze negative cui potrebbero andare incontro ragazzi o adolescenti che avessero sviluppato una scarsa autostima, come appunto l’uso/abuso di sostanze stupefacenti. Studi recenti hanno dimostrato che i ragazzi sottoposti a trattamento farmacologico per ADHD sono risultati a minor rischio per l’abuso di sostanze di quanto non fossero i loro coetanei con ADHD ma non sottoposti a trattamento farmacologico. Inoltre, questi studi hanno sottolineato come siano risultati simili le incidenze percentuali di abuso di sostanze tra ragazzi senza ADHD e ragazzi con ADHD che avevano ricevuto un trattamento farmacologico. Possiamo concludere che nei bambini trattati anche per lungo termine con psicostimolanti l’abuso e la dipendenza sono praticamente inesistenti. In un recentissimo studio congiunto dell’Università del Massachussets (Prof. Barkley) e del Wiscounsin (Prof.ssa Fischer) pubblicato su Pediatrics di gennaio 2003, effettuato su 147 ragazzi trattati con metilfenidato e seguiti per 13 anni fino all’età adulta, sono stati confermati tutti gli altri 11 studi precedenti effettuati al riguardo e si è giunti nuovamente alla conclusione che “non sussiste evidenza consistente o convincente che il trattamento con stimolanti nella fanciullezza o durante l’adolescenza sia associato al rischio di abuso di sostanze nell’adolescenza e in età adulta, alla maggior frequenza di tale uso in età adulta, o alla probabilità maggiore di avere una dipendenza da sostanze o un vero e proprio disturbo d’abuso di sostanze”. 


Mito. Gli stimolanti “coprono” il problema, senza trattare le cause reali dell’ADHD.

Realtà: Gli stimolanti agiscono in maniera tale da migliorare la neurotrasmissione della dopamina e della noradrenalina, neurotrasmettitori cui sono associate funzioni importantissime di inibizione e modulazione cerebrale, in sostanza, i freni del cervello. Il loro uso non differisce molto, a titolo d’esempio, dall’uso dell’insulina per il trattamento del diabete. Si tratta, cioè, di una terapia “sostitutiva” – anche se il termine per l’ADHD non è proprio corretto -, ma sfortunatamente, come accade per l’insulina, anche gli psicostimolanti hanno un effetto solamente temporaneo. E’ questo effetto temporaneo che porta a ritenere erroneamente che lo psicostimolante mascheri il problema senza risolverlo. Allo stato attuale essi rappresentano il solo trattamento che normalizzi il comportamento disattento, iperattivo e impulsivo dei bambini ADHD. Tale circostanza tra l’altro è importante anche perché, come già sottolineato in precedenza, se il bambino dovesse arrivare all’età adulta senza un trattamento adeguato, potrebbe manifestare tutte quelle disarmonie psichiche o vere e proprie psicosi, come conseguenza dei propri insuccessi sociali e scolastici.


Mito. I farmaci stimolanti impediscono la crescita.

Realtà: Studi recenti hanno dimostrato che il peso da adulto e la dimensione scheletrica non sono influenzate dall’assunzione di stimolanti e che anche gli effetti sul peso sono assolutamente minimi, anche se comunque è buona norma tenere sotto controllo la crescita staturo-ponderale del bambino durante il primo anno di trattamento.


Mito. Gli stimolanti possono danneggiare il cuore.

Realtà: Tutte le pubblicazioni comparse fino ad oggi in letteratura evidenziano un’elevata variabilità intra ed interindividuale circa gli effetti sull’apparato cardiovascolare indotti dagli stimolanti ma senza determinare problemi.  Ciò nonostante, alcuni genitori sollevano dubbi circa l’opportunità di terapie croniche e alcune campagne segnalano morti e suicidi in rapporto all’assunzione di questi farmaci. Tutti i farmaci stimolanti comunemente usati hanno alcuni effetti sulla gittata cardiaca e la pressione arteriosa, ma lievi, simili peraltro a ciò che possono scatenare condizioni fisiologiche come la digestione o la corsa, quindi perfettamente tollerabile in soggetti sani, effetti che, inoltre, tendono ad affievolirsi o a scomparire con la prosecuzione della terapia, secondo quanto rilevato in uno studio protratto per quasi due anni (Zeiner P. Body growth and cardiovascular function after extended (1.75 years) treatment whit methylphenidate in boys with attebtion-deficit hyperactivity disorder. J Child Adolesc Psychopharmacol 5:129-138, 1995). Per quanto riguarda le segnalazioni aneddotiche di casi di morte improvvisa in bambini trattati con stimolanti, le uniche segnalazioni riguardano bambini trattati con dosi ripetute terapeutiche di desipramina e con combinazione di clonidina-metilfenidato, il cui uso è consigliato in casi selezionati e ai non responders agli stimolanti e per i quali, quindi, trova indicazione il monitoraggio con ECG per la possibilità di un rallentamento della conduzione cardiaca, evidenziato dall’aumento degli intervalli PR e QRS o della comparsa di aritmie e tachicardie. E’ importante segnalare che tali eventi non sono stati mai comunicati in soggetti trattati anche a lungo termine ed esclusivamente col farmaco di prima scelta che è il metilfenidato (Ritalin).

Altri miti

Mito. Gli sforzi degli insegnanti nei confronti dei problemi di attenzione dei ragazzi possono produrre miglioramenti eguali o superiori a quelli prodotti dal trattamento farmacologico.

Realtà: Sarebbe molto bello se fosse vero, ma proprio le recenti evidenze scientifiche (in particolare lo studio MTA-Multimodal Study of Children with ADHD commissionato dall’Istituto Nazionale della Salute mentale degli Stati Uniti in cui sono stati seguiti 579 bambini con ADHD tra i 7 e i 9.9 anni di età per quattordici mesi ed in cui sono stati confrontati separatamente l’efficacia di quattro trattamenti differenti) ci dicono che questo è un mito. Soprattutto nei ragazzi con ADHD puro il trattamento multimodale (costituito da terapia farmacologica insieme alle migliori terapie cognitivo-comportamentali) non si è rivelato migliore del trattamento farmacologico da solo e la terapia cognitivo-comportamentale si è rivelata molto meno efficace del solo trattamento farmacologico. La conclusione è che insegnanti e terapisti devono continuare a fare ogni sforzo con le più avanzate tecniche di terapia cognitivo-comportamentale per aiutare i soggetti con ADHD ma parimenti devono anche comprendere che se non si interviene sui fattori biologici che sono alla base dell’ADHD, non si può sperare in grandi miglioramenti.


Mito. Genitori e medici sono spinti a indicare la terapia farmacologica perchè fortemente finanziati da case farmaceutiche.

Realtà: Le associazioni di genitori di bambini che soffrono di ADHD a livello mondiale sono associazioni di tipo no-profit e le loro attività di mutuo-aiuto e di diffusione e promozione delle conoscenze sono svolte prima di tutto grazie all’impegno di volontariato degli stessi genitori. Secondariamente, le attività sono autofinanziate attraverso le quote associative, la vendita di libri e video prodotti dalle stesse associazioni ed in parte anche sostenute da donazioni che arrivano da privati ma anche da organizzazioni esterne e fra queste anche quelle di case farmaceutiche.
Ma ciò che è importante sottolineare è l’indipendenza assoluta dell’operato e delle posizioni assunte dalle associazioni e ciò evidentemente a motivo di un coinvolgimento personale, sofferto e profondamente consapevole su tematiche scientifiche e sociali molto ben conosciute ed approfondite che riguardano i problemi dei loro stessi figli. Evidentemente è da escludere qualunque forma di pressione da parte di chicchessia, perché i genitori sono interessati esclusivamente alla qualità di vita dei loro figli che ha sempre importanti ricadute anche sull’intero nucleo familiare.Per questo tutte le associazioni di genitori hanno importanti e fondamentali contatti con il mondo scientifico ed in generale con il mondo della ricerca per essere costantemente aggiornati e approfondire i migliori e più recenti progressi nell’ambito della terapia multimodale. Le Associazioni di genitori quindi non possono che sostenere solamente tutti i trattamenti che si siano dimostrati efficaci nella terapia dell’ADHD, compreso il trattamento farmacologico, prendendo evidentemente posizione contro i rimedi rivelatisi inefficaci e senza prove scientifiche.
Proprio a causa di questo mito negli anni scorsi nei confronti di un’Associazione di lunga tradizione e grande valore come il CHADD (la più grande associazione americana di famiglie con bambini ed adulti ADHD) e della stessa Associazione Psichiatrica Americana vennero intentate addirittura delle cause legali. In realtà tali cause vennero intentate dalla Chiesa di Scientology e dal CCHR (Citizens Commission for Human Rigths – Comitato dei cittadini per i diritti dell’uomo – un’organizzazione internazionale di sorveglianza della psichiatria fondata dalla Chiesa di Scientology con la consulenza del neurologo americano Fred Baughman) anche se poi le stesse cause furono tutte ritirate o rigettate. Come giustamente rilevato nella relazione del Prof. Jan Buitelar nel seminario di Strasburgo dal titolo “Disturbi da deficit d’attenzione/disturbi ipercinetici: diagnosi e trattamento con stimolanti” del dicembre 1999 (paragrafo 3): “i farmaci psicotropici per la depressione o l’ADHD rappresentano in qualche modo un ostacolo per la Chiesa di Scientology dal momento che il principale interesse economico di questa setta è ricollegabile a rendere la gente più felice e più in salute attraverso altri mezzi”.
Le idee propagandate dalla Chiesa di Scientology e dalle sue affiliazioni presenti in molte parti del mondo (principalmente il Comitato dei Cittadini per i Diritti dell’uomo – CCHR Citizens Commission for Human Rigths) attraverso tutti i mezzi di comunicazione a loro disposizione e fra questi numerosi siti Internet e opuscoletti a partire dagli anni ’80 negli Stati Uniti e successivamente in Europa, come rilevato dalla Commissione Europea, hanno rappresentato e rappresentano dei “seri rischi alla salute dei bambini, negando loro un adeguato trattamento”.

A tal riguardo può costituire motivo di profonda riflessione quanto il Prof. Russell A. Barkley riporta nel suo Handbook sull’ADHD (2a edizione 1998) alle pagine 33-34 relativamente alla propaganda portata avanti negli anni ’80 dalla Chiesa di Scientology attraverso il CCHR e ai danni da essa prodotti negli Stati Uniti e la cui traduzione riportiamo sotto:

La Campagna della Chiesa di Scientology

Tratto da: Russell A. Barkley – Attention Deficit Hyperactivity Disorder
A Handbook for diagnosis and Treatment
Second Edition 1998 – Guilford Press – pag. 33-34
Traduzione a cura di Enzo Aiello – AIFA Onlus
Maggio 2004

Insieme con un aumento dell’attività pubblica, negli Stati Uniti giunse (si parla della fine degli anni ’80 n.d.t.) anche una tendenza terribilmente distruttiva alimentata principalmente dalla Chiesa di Scientology e dalla sua affiliazione, la Commissione dei Cittadini sui diritti umani (CCHR). Tale Campagna fece tesoro della tendenza generale dei media a pubblicare acriticamente allarmi o a gonfiare aneddoti e della pubblica credulità su di essi. Attirando l’attenzione sull’incremento nell’utilizzo dei farmaci stimolanti nei ragazzi in età scolastica così come sulla diffusa preoccupazione pubblica sull’abuso di farmaci, i membri del CCHR collegarono insieme con efficacia questi eventi per giocare sulla preoccupazione generale del pubblico nell’utilizzo di farmaci che modificano il comportamento nei ragazzi.

Ancora, ricordando le grandi esagerazioni viste in occasione della campagna del governo degli Stati Uniti contro la marijuana, i membri del CCHR si concentrarono selettivamente sui rari casi di reazioni avverse agli stimolanti ed esagerarono enormemente sia il numero sia l’entità di questi per persuadere il pubblico che queste reazioni erano assai comuni. Essi conclusero anche che la prescrizione massiccia stava ponendo un grave pericolo ai nostri ragazzi. Attraverso il picchettaggio di conferenze scientifiche e pubbliche sull’ADHD, distribuendo opuscoli a molti genitori e studenti in molte città americane, ricercando apparizioni su molti talk-show televisivi nazionali e inviando numerose lettere ai giornali denunciando i mali del Ritalin ed il mito dell’ADHD (Bass1988, CCHR1987, Cowart 1988, Dockx,1988) i membri del CCHR ed altri portarono questa propaganda al pubblico in modo diretto. Il Ritalin, affermavano, era un farmaco pericoloso e che crea dipendenza spesso usato come camicia di forza per frenare ragazzi normalmente esuberanti a motivo di educatori e genitori intolleranti e di psichiatri affamati di denaro (Clark1988, CCHR1987, Docks1988).

Furono fatte affermazioni drammatiche, esagerate e infondate che il Ritalin producesse violenza o omicidi, suicidi, sindrome di Tourette, danni permanenti a livello cerebrale o disturbi emotivi, epilessia, ipertensione, confusione, agitazione, e depressione (CCHR1987, Clark1988, Dockx1988, Laccetti1988, “Ritalin Linked” 1988, Toufexis1989,Williams1988). Fu anche asserito che l’aumentata produzione di Ritalin e la sua prescrizione conduceva ad un incremento d’abuso di tali farmaci (Associated Press 1988, Cowart1988, “Incremento nell’uso di Ritalin” 1988). Fu affermato che esistesse una grande controversia tra le comunità scientifiche e professionali su questo disturbo e sull’utilizzo del farmaco. Comunque non fu mai presentata alcuna prova in questi articoli che dimostrasse un incremento nell’abuso di Ritalin o ricollegabile con l’aumentata prescrizione del farmaco. Inoltre un’attenta analisi dei giornali professionali e delle conferenze dimostrò che nessuna particolare o diffusa controversia fosse mai esistita all’interno del campo professionale e scientifico sulla natura del disturbo o l’efficacia del trattamento con stimolanti.

Furono inoltre minacciate, intentate e assistite cause legali da parte del CCHR contro professionisti per negligenza medica e malpractice e contro le scuole per la complicità nel “far pressione” sui genitori a somministrare ai loro figli questi farmaci (Bass1988, Cowart1988, Henig1988, Nighline1988, Twyman1988). La causa più importante (125 milioni di $) fu intentata dal CCHR contro l’Associazione Psichiatrica Americana per frode nella determinazione dei criteri per la valutazione dell’ADHD (Henig1988, “Psychiatrist Sued – Psichiatra citato in giudizio” 1987) anche se la causa venne successivamente respinta.

Tale campagna nazionale da parte del CCHR fu così efficace, furono talmente diffuse le storie su giornali e televisione sulle reazioni avverse del Ritalin, e così facilmente il modo di sentire del pubblico fu ingannato sul disturbo ed il suo trattamento da parte di un gruppo religioso marginale e da giornalisti zelantissimi e commercianti di scandali che nell’arco di un anno la posizione pubblica verso il Ritalin fu totalmente alterata. Il Ritalin fu visto come un farmaco pericoloso e sovraprescritto e il pubblico ritenne che esisteva un’enorme controversia a livello di professionisti sul suo uso. I benefici minori che si presentarono a seguito di questo distorto modo di riportare i fatti fu che alcuni professionisti diventassero più rigorosi nelle loro valutazioni e più cauti nel prescrivere il farmaco. Anche le scuole diventarono più sensibili alla percentuale dei soggetti registrati che ricevevano il trattamento con stimolanti ed in alcuni casi incoraggiarono la gestione dei ragazzi attraverso metodiche comportamentali. In realtà, anche i pochi effetti relativamente positivi di questa campagna furono grandemente sbilanciati dagli effetti dannosi sui genitori e ragazzi.

Molti genitori furono spaventati interrompendo unilateralmente il farmaco ai loro figli senza consultare i medici. Altri rifiutarono rigidamente di considerare il trattamento come una parte del piano di trattamento del loro figlio nel caso fosse consigliato o furono turbati nel fare ciò da genitori fuorviati dalla distorta campagna della chiesa di Scientology e dagli articoli giornalistici. Alcuni adolescenti con ADHD iniziarono a rifiutare il trattamento anche se di beneficio per loro, dopo essere stati allarmati da tali storie. Alcuni medici iniziarono ad interrompere la prescrizione del farmaco per la preoccupazione di cause, privando quindi molti ragazzi dei chiari benefici di questo approccio.

Fu assai frustrante vedere un’inutile angoscia creata ai genitori i cui ragazzi erano già in trattamento farmacologico o stavano pensando al suo utilizzo. Il danno psicologico fatto a questi ragazzi le cui vite potevano essere migliorate grazie a questo trattamento fu incalcolabile. La risposta scarna, scarsamente organizzata e distribuita da parte dei professionisti della salute mentale fu principalmente di natura difensiva (Barkley 1988, Weiner 1988) e come al solito troppo scarsa e troppo in ritardo per cambiare la tendenza dell’opinione pubblica. Ci sarebbero voluti molti anni per ribaltare questa regressione nella pubblica opinione verso l’ADHD ed il suo trattamento attraverso il farmaco così come l’effetto di congelamento che tutto ciò ebbe sulla classe medica nella prescrizione del farmaco.


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