Il primo passo per l’inquadramento diagnostico dell’ADHD è quello di  valutare adeguatamente il fenomeno dell’iperattività e/o della disattenzione nel contesto psico-clinico poichè l’iperattività e il disturbo d’attenzione non sono sinonimi di ADHD ma possono essere spiegati anche con altre cause.

 
Esclusi così altri motivi etiopatogenetici, solo a questo punto potremo parlare di “iperattività da disturbo di concentrazione“.

La diagnosi di ADHD è in alcuni casi non semplice, ma questo non deve spingere a non diagnosticare perché dei due errori possibili, il secondo – quello cioè di non riconoscere l’ADHD – è certamente il più frequente e più denso di conseguenze pratiche, in quanto ci aliena la possibilità di trattare il bambino in maniera risolutiva.

Poiché l’ADHD – come abbiamo visto nella pagina introduttiva – può avere varie espressioni cliniche – perché varie possono essere le alterazioni dei recettori e dei neurotrasmettitori- non meraviglierà sapere che la sindrome può essere classificata in tre forme diverse:

  1. una classica, caratterizzata da iperattivitàimpulsività disturbo d’attenzione;
  2. una meno frequente e più difficile da riconoscere in cui compare solo il deficit di attenzione (presente soprattutto nelle femmine);
  3. e una terza, caratterizzata da prevalente iperattività e impulsività.

Infine, accanto a queste forme ce ne possono essere apparentemente delle altre determinate dal sommarsi del disturbo di base con i disturbi comportamentali secondari o con altri disturbi psichiatrici, dette forme comorbide.

I sintomi indispensabili per la diagnosi rappresentano la conseguenza del meccanismo fisio-patologico che è alla base dell’ADHD. Andranno distinti i sintomi puri del disturbo e i profili sintomatologici psico-comportamentali associati, che nascono in seguito a determinate condizioni ambientali e di personalità, oltre ad essere talvolta vere e proprie entità cliniche comportamentali associate.

E’ unanimemente accettato che lo strumento diagnostico principale per porre un sospetto diagnostico fondato è il DSM, il “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders“, nelle sue forme III-R e IV.

Si tratta di un questionario in grado di esplorare i sintomi tipici che appartengono ai tre aspetti comportamentali classici dell’ADHD:

La descrizione completa degli items del DSM è riportata nella pagina da qui raggiungibile e la sua positività, assieme a quella dell’analogo questionario fatto compilare dagli insegnanti del bambino (da qui raggiungibile), pone solo il sospetto di un ADHD e impone, quindi, l’attenta visita di uno specialista in grado di definire la diagnosi.
   Questionario DSM IV per i Genitori
        Questionario DSM IV per gli insegnanti
 
Sarà molto importante tenere presente i seguenti punti nella valutazione finale del DSM IV:

 Sei o più di sei dei nove criteri di una o entrambe le tabelle A e B devono sussistere da almeno 6 mesi, spiccare per la loro frequenza – spesso (2), molto spesso (3) – al livello che mal si adatta ed è inconsistente con il grado di sviluppo. Attualmente non si tengono in considerazione l’età e il sesso.

 Alcuni dei sintomi devono essere già presenti prima dei sette anni.
Un certo disagio causato dai sintomi deve essere presente in due o più ambienti (es. a scuola o al lavoro e a casa).

 Deve sussistere una chiara documentazione di significativo deficit clinico nella funzione sociale, accademica ed occupazionale.

 I sintomi non compaiono esclusivamente nel corso di una turba pervasiva dello sviluppo, schizofrenia od altre turbe psicotiche, né sono attribuibili più agevolmente ad altra turbe mentale (es. dell’umore, dell’ansia, dissociativa e della personalità).

Scarica sul tuo computer il “DSM IV”  
Il clinico dispone poi di ulteriori strumenti per la valutazione globale del bambino ed il raffinamento del sospetto diagnostico. In particolare l’intervista clinica psico-sociale, che permette di ottenere preziose informazioni che possono confermare o attenuare il sospetto di ADHD e la Pediatric Symptom Checklist,  uno strumento di screening per accertare la presenza di problemi psico-emotivi.

L’intervista abbraccia tutti i settori della vita e storia del bambino che possono gettare luce sul suo problema. Essa mira, oltre all’obiettivo principale di formulare un modello causale, anche quello di  fare emergere una serie di problematiche, indispensabili per il successivo iter diagnostico e terapeutico, si tratti o no di un bambino ADHD. Attraverso uno schema di rilevazione è così possibile raccogliere e sistemare, come in un puzzler, le informazioni fornite dai genitori nel corso dell’intervista. Lo stesso si potrà fare anche col bambino.

Ma se tutto questo permette di porre un sospetto diagnostico più o meno preciso, solo l’oggettivazione dei sintomi patognomonici permette di confermare o non il sospetto, per cui la diagnosi, sopratutto nei casi più complessi e dubbiosi, deve essere consolidata con una diagnostica di test più approfondita rappresentata dai Tests di concentrazione, di intelligenza e di personalità.

Naturalmente non sarà possibile gestire il problema della diagnosi e della terapia senza la collaborazione stretta di tutte le figure professionali coinvolte, compresi i genitori, gli insegnanti, i pediatri, i neuropsichiatri, gli psicologi.